In merito all’articolo di Dario Del Porto, pubblicato su “La Repubblica” il 3 novembre scorso, inerente le conseguenze della crisi economica nell’ambito della professione forense, sentiamo l’esigenza di esprimere le nostre idee come operatori del Diritto che vivono l’Avvocatura con passione ed impegno civile. Concordiamo, effettivamente, circa le difficoltà che attanagliano l’esercizio di tale professione, specialmente per i più giovani.
Riteniamo perciò improcrastinabile la scelta di avviare, nel settore, riforme serie affinché i diritti alla formazione, al lavoro e alla difesa degli altrui diritti in giudizio, costituzionalmente sanciti, non subiscano ulteriori e mortificanti deroghe, dinanzi alle contingenze economiche, ormai divenute sovranazionali.
Appare evidente allora la necessità della proposta. Dall’accesso ai saperi a quello alla stessa professione, va rilevato che il meccanismo formazione-mondo del lavoro si è inceppato da parecchio tempo.
In primis i corsi di Laurea presso i Dipartimenti di Giurisprudenza dovrebbero essere suddistinti in due percorsi di studi dalla durata complessiva di sei anni: il primo ciclo dedicato allo studio generale delle Scienze Giuridiche, il secondo ciclo mirante alla formazione effettiva per l’esercizio di una delle tre professioni legali, che sia essa nell’ambito dell’Avvocatura, della Magistratura o del Notariato. In tal modo la selezione sarebbe “naturale” evitando meccanismi poco meritocratici del cosiddetto “numero chiuso”, da un lato e l’accesso indiscriminato alla professione forense da parte anche da parte di coloro che non la eserciteranno mai, dall’altro.
Un secondo obiettivo riguarda proprio l’ingresso nell’Avvocatura. È evidente che svolto un percorso di studi, serio, da parte di quelli che hanno proseguito la specializzazione con passione e determinazione, saranno pronti ad affrontare l’abilitazione professionale ma, a nostro avviso, sarebbe anche necessario recuperare la dignità di un momento valutativo importante e decisivo per lo svolgimento della vita professionale in tale settore. Ed è evidente che le nuove proposte contenute nella legge 247/12 vanno in tutt’altra direzione, anche allo scopo di un più rigida ed indiscriminata selezione, quasi affidata al caso. Ma è una vittoria di Pirro che l’Avvocatura italiana non può permettersi. E poi sarebbero necessarie reali misure a sostegno dei giovani avvocati come l’erogazione di un contributo statale medio per un massimo di due anni, ai giovani colleghi che cominciano “da zero” ovvero un contributo a sostegno di coloro che decidono di offrire il proprio esercizio professionale a favore degli indigenti, alla stregua di un ufficio pubblico di difesa dei cittadini. Anche gli Albi potrebbero essere snelliti incentivando, magari con l’affidamento di incarichi nella magistratura onoraria, la cancellazione degli Avvocati più anziani che non svolgono più la professione. Insomma si avverte la necessità che lo Stato effettivamente garantisca tale mestiere che tutela diritti costituzionali inderogabili. Ancor di più, poi, nel settore del diritto processuale penale minorile ove i soggetti in giudizio hanno la maggiore necessità di incontrare colleghi appassionati, specializzati ed in grado di svolgere la professione con serenità e competenza e non come “una cosa in più da fare” per “arrotondare” se così si può dire, il proprio onorario.
Avv. Mario Covelli
Presidente Onorario della
Camera Penale Minorile
Associazione Nazionale
p. Avv. Dott. Aldo Cimmino
Presidente della
Camera Penale Minorile
Associazione Nazionale